Fuori i collettivi antidemocratici dagli atenei, sono luoghi di dialogo non di censura, Calenda: «Le università sono fondamentalmente in mano ai comunisti»

Carlo Calenda leader di Azione
Carlo Calenda leader di Azione

Dal caso simbolo della Sapienza fino allo stop al convegno con Carlo Calenda alla Federico II: una sequenza di episodi che riapre il tema della libertà di parola negli atenei italiani, e della deriva autoritaria, dittatoriale e violenta che lascia presagire scenari preoccupanti

Le università dovrebbero essere il luogo naturale del confronto, del pluralismo e della libertà di espressione. Spazi in cui le idee si discutono, si criticano e si mettono alla prova, senza veti ideologici né censure preventive. Eppure, negli ultimi anni, una serie di episodi sempre più frequenti racconta una realtà diversa, nella quale collettivi organizzati riescono a condizionare la vita accademica fino a impedire lo svolgimento di incontri e convegni non graditi.


Il precedente che ha fatto scuola: la Sapienza
Il caso più noto resta quello del 2008, quando Papa Benedetto XVI rinunciò a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza di Roma dopo le proteste di una parte del mondo universitario. Un episodio che segnò uno spartiacque e che ancora oggi viene ricordato come il momento in cui il dissenso superò il confine del confronto, trasformandosi in esclusione dell’ospite.


Eventi bloccati e relatori silenziati
Negli anni successivi, casi analoghi si sono moltiplicati. Giornalisti, politici, intellettuali e rappresentanti del mondo ebraico sono stati contestati fino all’impossibilità di parlare. Convegni rinviati o cancellati per “ragioni di sicurezza”, incontri interrotti da urla e occupazioni, rettori costretti a fare un passo indietro per evitare tensioni. Un copione che si ripete, con modalità simili, in atenei diversi e su temi differenti.


Il caso recente della Federico II di Napoli
L’ultimo episodio, in ordine di tempo, risale a cinque giorni fa e riguarda l’Università Federico II di Napoli. A denunciarlo è stato lo stesso Carlo Calenda, segretario di Azione, a margine di un incontro con gli studenti dell’Università Parthenope. «Avevo un convegno alla Federico II che è stato cancellato. Era fissato da due mesi ed è sparito, immaginiamo per ragioni politiche», ha dichiarato. L’incontro, in programma per il giorno successivo, è stato annullato senza spiegazioni ufficiali.
Calenda ha aggiunto: «Come è noto la Federico II è in mano ai collettivi, che organizzano invece un evento di propaganda pro-putiniana abbastanza scandaloso. È successo anche a Torino e purtroppo questo succede dove le università sono fondamentalmente in mano ai comunisti». Una presa di posizione dura, che richiama un tema già emerso in altre città: la selezione degli ospiti non in base al valore del confronto, ma all’appartenenza ideologica. (Video Ansa)


La solidarietà di Mastella e il richiamo alla Costituzione
Sul caso è intervenuto anche il sindaco di Benevento e leader di Noi di Centro, Clemente Mastella, con una nota netta: «La scelta di azzerare, per motivi presumibilmente di ordine politico, il convegno con Carlo Calenda alla Federico II è sbagliata, inaccettabile e contraria alla Carta Costituzionale». Mastella ha espresso una «solidarietà piena e incondizionata», sottolineando che «la libertà di parola e il confronto delle idee hanno carattere sacrale in democrazia», anche tra avversari politici.


Università, palestra democratica o recinto ideologico?
Contestare è legittimo, impedire di parlare no. Quando il dissenso diventa censura, l’università perde la sua funzione e si trasforma in un luogo di esclusione. Difendere la libertà di parola negli atenei non significa condividere le idee degli ospiti, ma difendere il principio stesso del confronto. Senza questo presupposto, l’università smette di essere una palestra democratica e diventa un recinto ideologico, dove a vincere non sono le argomentazioni, ma i veti.

Quando l’antifascismo si capovolge
C’è poi una contraddizione che non può essere ignorata: al grido di «fuori i fascisti dalle università», chi impedisce con la forza a qualcuno di parlare finisce per assumere comportamenti che nulla hanno a che fare con la democrazia. L’autoritarismo, l’intimidazione e la violenza verbale o fisica sono tratti tipici di ciò che storicamente si definisce fascismo. Quando il dissenso diventa imposizione e il confronto viene sostituito dal veto, i ruoli si rovesciano e l’università smarrisce la sua funzione civile. È per questo che isolare politicamente e culturalmente chi nega la libertà di parola non è una battaglia di parte, ma una difesa dei principi democratici.


Una lezione dalla storia, i regimi dittatoriali del secolo scorso sono cominciato così
I periodi più bui e oscurantisti del Novecento non sono iniziati con le leggi speciali, ma con la normalizzazione della censura, con il silenziare le voci scomode, con l’idea che alcune opinioni non meritino di essere ascoltate. È da episodi apparentemente “minori”, come la cancellazione di un convegno o l’intimidazione di un relatore, che prende forma una cultura dell’esclusione. Per questo è indispensabile isolare politicamente e culturalmente quei collettivi che negano il confronto e impediscono la libertà di parola, riaffermando con forza che le università non sono proprietà di nessuna ideologia, ma patrimonio comune della democrazia.

La responsabilità dei rettori
Serve infine un richiamo diretto alla responsabilità dei rettori, che per ruolo e mandato sono chiamati a garantire l’autonomia, il pluralismo e la libertà culturale degli atenei. A loro spetta il compito di governare comunità complesse, non di assecondare pressioni ideologiche o rifugiarsi in scelte di comodo. Vestire i panni del custode neutrale del sapere significa anche sapersi svestire dei dogmi politici e culturali che, talvolta, sembrano orientare decisioni discrezionali su chi può parlare e chi no. La funzione del rettore non è quella di arbitrare le idee, ma di creare le condizioni affinché tutte possano confrontarsi nel rispetto delle regole democratiche. Rinunciare a questa responsabilità equivale a tradire la missione stessa dell’università.
Giulio Carnevale